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Pubblicità sociale, pubblicità etica, pubblicità eretica

Pubblicità sociale, pubblicità etica, pubblicità eretica

CHE COS’È LA PUBBLICITÀ SOCIALE?

Per pubblicità sociale si intende una campagna di utilità sociale che tende a sensibilizzare attraverso i media l’opinione pubblica su problematiche civili, morali o mediche riguardanti la comunità.
In Italia esiste una fondazione nata nel 1971 chiamata “Pubblicità Progresso” – da qui il sinonimo per quella che in gergo tecnico si definisce non-commercial advertising –, nata con il lancio di una storica campagna per la donazione del sangue – «C’è bisogno di sangue. Ora lo sai», alla quale partecipò anche l’AVIS.
Diversi enti non governativi, da allora, ne hanno seguito l’esempio e, nel 2003, è stato anche istituito il premio alla pubblicità sociale “Pubblicità per BENE”.
Inoltre, oggi anche le ONLUS che negli anni sono arrivate a numeri rilevanti usano la pubblicità per perseguire i propri scopi benefici.

Ciò che manca – e ne parleremo tra poco – è un approccio sociale alla pubblicità commerciale, che resta la fetta più grossa del mercato pubblicitario e potenzialmente quella più pericolosa, capace di de/formare la morale del popolo.

NON È TUTTO BENE CIÒ CHE VIENE DETTO TALE.

Un serio problema è lo sfruttamento del linguaggio della pubblicità sociale da parte di soggetti che hanno fini di ben altra natura.
Bisogna prendere posizione, con coraggio, e dire le cose come stanno. D’altronde il problema pubblicitario del posizionamento è anche e, soprattutto, esprimersi a favore o contro qualcosa.

Succede spesso che si strumentalizzino temi delicati con dinamiche shocking, che fanno venire il dubbio sui reali fini di certe campagne pubblicitarie in ambito di bioetica.
Un recente esempio è stata la campagna della Fondazione IRCCS (Istituto Neurologico Carlo Besta) ritraente un bambino con sindrome di Down, cui si accompagnava il messaggio «Per curare il suo cervello ci serve il tuo aiuto» – traduciano: «ci serve il tuo 5×1000».
Una campagna vergognosa, lo affermiamo ancora, riportando uno stralcio dal comunicato di CoorDown che immediatamente diffondemmo:
«Si tratta di una campagna dal contenuto offensivo e ingannevole, che rimanda il messaggio di una “malattia curabile” e dunque la falsa convinzione che ci siano strade scientifiche percorribili per ridurre il danno cognitivo, che tipicamente accompagna la persona con sindrome di Down. È noto invece che la sindrome di Down, trisomia 21, non è una malattia, ma una anomalia cromosomica».

Altro esempio recente è stato la campagna contro l’eutanasia diffusa da Pro Vita, ennesima pubblicità basata su falsità, che diffonde un messaggio tutt’altro che etico.
L’estetica shocking è specchio di un sottotesto torbido, che punta a fare proseliti manovrandone l’emotività, attraverso cartelloni pubblicitari e immagini via social ritraenti persone deboli come una nonna con cancro, un uomo che ha perso il lavoro, una ragazza anoressica e un ragazzo bullizzato.
Per tutte le immagini lo stesso messaggio: «POTRÀ FARSI UCCIDERE», seguito da «E SE FOSSE TUA NONNA?», «E SE FOSSE TUO PADRE?», «E SE FOSSE TUO FIGLIO?», «E SE FOSSE TUA SORELLA?».
Si tratta di una evidente deformazione della realtà e strumentalizzazione di un tema delicatissimo, quale l’eutanasia.
Anzitutto, in Italia – e ovunque nel mondo – il suicidio è già possibile: chiunque può decidere di suicidarsi, la legge non c’entra e, soprattutto, nessuno può decidere la vita o la morte altrui.
La Legge sull’Eutanasia serve, invece, a normare la possibilità di una persona in condizioni di malattia gravi, invalidanti, terminali, di mettere fine con dignità alle proprie sofferenze irreversibili.
Sull’irreversibilità bisogna soffermarsi: un ragazzo bullizzato non vive una condizione irreversibile, una ragazza anoressica nemmeno, un uomo disoccupato altrettanto, e la legge sull’Eutanasia non norma casi assurdi e irreali come quelli sfruttati da Pro Vita.

Bisogna fare, perciò, molta attenzione a cosa è realmente pubblicità sociale e cosa è invece una sua storpiatura. C’è un modo di riconoscere la vera pubblicità sociale da quella falsa.
Per es., la scelta del maiuscolo per quel messaggio testuale risulta allarmante, oltre a essere volgare, è il primo indice di sensazionalismo, tipico delle fake news.
Ancora, il grigiume della post-produzione fotografica, più che trasmettere la tragicità dell’argomento, trasuda morbosità.
E, di base, approfondire i temi con competenza è il metodo principale per distinguere la vera pubblicità di utilità sociale.

CHE COS’È, INVECE, LA PUBBLICITÀ ETICA?

Un lancio nell’etico è una campagna ideata per prodotti etici, come lo sono i farmaci per peculiari malattie o problematiche serie e delicate, che richiedono l’obbligo di prescrizione del medico (es. farmaci per malattie cardiologiche, neuropsichiatriche e tutto quanto non si può vendere “da banco” come un semplice disinfettante).
In Italia, l’organo governativo che regola questo genere di pubblicità è l’AIFA (Agenzia italiana del farmaco), che monitora le case farmaceutiche affinché i materiali di comunicazione – come un visual, una brochure, un video educazionale, un’app, ecc. – a supporto della distribuzione e della vendita dei farmaci etici, girino esclusivamente nel circuito medico-scientifico.
Inoltre, l’AIFA monitora anche le parole con le quali vengono promossi i farmaci etici, con l’obbligo che siano rigorosamente referenziati da studi medico-scientifici accreditati accademicamente e sostenuti da ricerche verificabili.

Da un punto di vista tecnico, si tratta della forma di pubblicità più complessa, perché si devono tener conto di molte variabili difficili da armonizzare: studi di marketing settoriale da conciliare con regole etiche necessarie; la sensibilità del paziente da conciliare con il linguaggio riconoscibile dal medico; ecc..
Il disciplinare tende, inoltre, a inasprirsi e, oggi, parliamo di visual parlanti, ossia senza claim pubblicitario, essendoci l’obbligo di referenziare ogni parola. E, ovviamente, un medico o uno scienziato non scrivono copy orientati alla vendita o, quanto meno, liricamente appealing – per usare un altro termine del gergo creativo.

Si tratta, dunque, di una bella gatta da pelare per gli uffici marketing delle farmaceutiche e per i creativi come noi ai quali si affida il difficile compito di supportare la comunicazione per questi particolari prodotti.
Certo, per le questioni delicate, è sempre meglio avere più controlli piuttosto che meno regole!

CHE COS’È LA PUBBLICITÀ ERETICA DI OFFICINA MIRABILIS?

Maturando una seria esperienza nel campo della pubblicità etica e della pubblicità sociale, abbiamo sviluppato una concezione della pubblicità fortemente posizionata su princìpi e scelte etiche, sull’esigenza di dare un orientamento sociale anche alla pubblicità commerciale.
Definiamo, pertanto, pubblicità eretica, una qualsiasi azione pubblicitaria alla base della quale vigono una scelta etica e una missione organica.
Eresia deriva dal termine greco airesis che significa, appunto, scelta. Scegliere di prendere posizione per il bene della comunità è l’unica opzione che reputiamo possibile e assolutamente necessaria a livello organico.
Per organico intendiamo che tutti e a tutti i livelli siamo chiamati a fare scelte. Anche vendere prodotti apparentemente fuori da problemi etici, anche fare azienda puntando all’utile, non solleva nessuno dalla stringente necessità di andare oltre gli orizzonti economici e assumersi la responsabilità di fare il bene comune.

Ce ne accorgiamo dinanzi all’evidente disgregazione della società civile, in casi come il contagio da coronavirus, nel quale assistiamo a una stratificata serie di problemi, da quelli inerenti la salute della popolazione a quelli della speculazione economica – si veda il caso dei disinfettanti venduti con il 1700% di rincaro, con ovvia ripercussione sulle farmaceutiche parte-lesa, costrette ad attivarsi per controllare la propria reputazione ma, de facto, impossibilitate ad adire le vie legali in maniera agile, dato che si sono, per ora, solo «al limite della truffa».
Si veda ancora quanti danni sta provocando l’isteria di massa, alimentata da un libero mercato deregolamentato da solide strutture istituzionali, come nel caso della folle corsa a fare provviste di beni alimentari in un clima di guerra civile.
Si potrebbero aggiungere molte altre questioni, come quella del benaltrismo – che sminuiva un rischio mediamente serio di contagio –, o quella di un razzismo piatto, verso chiunque, anche verso gli italiani stessi – che ingigantisce con frustrazione il rischio del Covid19, urlando homo homini lupus.
E, infine, la fastidiosissima tendenza a eccedere con il real-time marketing, fino a una spietata stupidità, che ha ormai pervaso il comportamento collettivo e, consapevolmente o meno, costituisce la cifra di un vuoto spirituale che ci informa di quanti morti viventi ha già fatto il virus del consumismo.

Per fare un esempio pratico di pubblicità eretica, nel giorno di Carnevale 2020 abbiamo lanciato sulle nostre pagine social un visual con una mascherina ospedaliera trasformata in maschera di Carnevale.
La complessità del tema iconografico della maschera – scherzo, pericolo, nascondimento, mistero, illusione –, va molto oltre le facilonerie e le battute brillanti da instant marketer, attivando archetipi profondi che richiamano alla memoria le epidemie del passato, tese tra isteria e salvazione.
Questa sottesa ambiguità trasmette la delicatezza del tema, stimolando partecipazione e dibattito.
È anche un rovesciamento dello stesso linguaggio real-time, ne emula lo “stare sul pezzo”, per trasmettere, però, contenuti critici e analitici, pensati per far riflettere su temi permanenti e in linea con una missione organica. La nostra, è quella di denunciare la degradazione sociale e il fallimento del liberalismo, che si manifesta quotidianamente nei fatti di cronaca, proponendo un modello di fare azienda – e di stare al mondo – radicalmente diverso: quello del dubbio come sana inquietudine e della ricerca della meraviglia come via per aprirsi autenticamente all’altro.
Al visual abbiamo associato il claim «the carnival is over» – è finito il carnevale – e una densa citazione di Erich von Kahler.

 

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«Abbiamo imparato a curare innumerevoli malattie e ne sorgono altre terribili e del tutto nuove. Abbiamo appreso le regole dell’igiene e della sicurezza e ci hanno aggredito debolezze, impotenze e pericoli del tutto inattesi e molto più giganteschi di prima. Abbiamo studiato i più complicati strumenti e le più complicate istituzioni per conservare e congiungere inaudite masse di uomini su distanze spaziali e per durate temporali prima sconosciute, ma siamo pervenuti nel contempo ai più complicati strumenti e alle più complicate istituzioni per disperdere e annientare in misura imponente le medesime masse di uomini».
[Erich von Kahler, Der Beruf der Wissenschaft]

Sotto il post si è avviata una significativa discussione alla quale invitiamo tutti a partecipare.

 

Perché è possibile, e auspicabile, usare il linguaggio pubblicitario, per l’utile e oltre, producendo organicamente contenuti e analisi, stimolando riflessioni e confronto sulla società in cui viviamo.
Oltretutto, è necessario!