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UNICREDIT: «FACEBOOK NON È ETICA»

UNICREDIT: «FACEBOOK NON È ETICA»

Unicredit lascia Facebook e tutti i canali di comunicazione firmati da Zuckerberg, inclusi Instagram e Messenger.
Dal 1° giugno 2019, resteranno attivi solo i profili Twitter e LinkedIn.

Pare che il gruppo di credito italiano ed europeo, che dispone di un’utenza di oltre 25 milioni di clienti, voglia privilegiare i canali di comunicazione digitale di proprietà (sito web, email, call center, ecc.).

Una scelta, a mio avviso, di tutto rispetto.
Eppure, in questo articolo di circa un anno fa, la motivazione era ben più profonda: «Facebook non è etica».
Altri motivi plausibili di questa scelta potrebbero essere l’incontrollabilità dei commenti negativi, nonché i costi cui oramai è sottoposta la visibilità sul social di Menlo Park.
Bassa qualità dell’interazione e costi inappropriati di visibilità sono problematiche reali di Facebook.
In effetti, sono consequenziali: un’organica bloccata che obbliga al pagamento per ottenere visibilità, genera bassa qualità delle interazioni, cosa che non solo non si risolve pagando, ma che conduce a un noise assordante di messaggi e un inquinamento di informazioni inutili o inutilizzabili.
A queste problematiche, si aggiunge un problema etico serio dopo lo scandalo di Cambridge Analytica.
Unicredit non è l’unica grossa azienda che mollerà Facebook: la parabola è discendente.
Basta fare un ricerca su Google per leggere articoli su articoli di aziende grosse o piccole, nonché gruppi numerosissimi di utenti che progressivamente abbandonano il social di Mark Zuckerberg.
Eppure, Facebook è il social che, a oggi, ha fatto i numeri – letteralmente – tra i più considerevoli del web.
Inoltre, nonostante le statistiche – oggi in calo minimo, ma domani chissà… –, Facebook i numeri continua a farli.
Ma allora cosa ha spinto milioni e milioni di utenti a usarlo così tanto?
E cosa li spinge a usarlo ancora?
Alla base c’è un problema che pochi osano mettere in evidenza: la facilità con la quale è possibile falsificare, alterare, costruire la propria identità-digitale su Facebook, molto più che su altri social.

Molto più che su Linkedin, per esempio, e molto più che su Twitter per i limiti oggettivi di pubblicazione coi quali nacque il social del cinguettio.

Questa peculiarità – che è la vera nemesi incontrollabile di Facebook – lo ha reso una dipendenza patologica per la maggioranza degli utenti.
Si, è triste ammetterlo, ma parliamo di milioni di persone con seri problemi di narcisismo ossessivo, esploso tra la società dello spettacolo e la società del consumismo.
In poche parole, la maggioranza degli utenti di Facebook consuma la sua propria immagine compulsivamente: ergo, è molto difficile che diventi utenza attiva e realmente convertibile, perché al processo di conversione arriva già (fantasmaticamente) appagata, avendo consumato sé stessa.
La cosa più intrigante è che Facebook ha capito prima di tutti che sul suo social network fosse rimasta poca ciccia a disposizione: tant’è che risale già a un anno fa la notizia delle estensioni in negozi fisici, per la vendita dei prodotti più cliccati sul social network!
Insomma, è Facebook stesso che non crede più (solo) nel mercato social.
Una semplice prassi di differenziazione del business o un ritorno alla realtà?

Sicuramente questa doccia di realtà non è toccata solo a Facebook: anche Amazon ha fortemente investito in settori differenti dal web, orientandosi verso ambigue soluzioni, tra store fisici, servizi postali, contenuti di video entertainment e algoritmi che licenziano i dipendenti…

Chissà cosa succederà…
Imperi economici di questo genere difficilmente crollano, ma forse Zuckerberg dovrà affidarsi a qualche guru del marketing per risollevare le sorti della sua creatura.
Forse si rivolgerà a uno tra le migliaia di geni che continuano a fare sponsorizzate sulla sua piattaforma, proponendosi di insegnarci «le 20 semplici regole per avere successo facile e garantito e diventare miliardari… e rompermi i “cosiddetti” il sabato mattina».
Vincenzo Notaro
Direttore creativo
Officina Mirabilis