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UN FULMINE ROSSO SU SFONDO NERO: CODICE COLORE DI STRAJK KOBIET

UN FULMINE ROSSO SU SFONDO NERO: CODICE COLORE DI STRAJK KOBIET

Quando un simbolo è così potente, non ci si può sbagliare: veicola una forza autentica.

Oggi, riflettevo sul fatto che, da critico e detrattore del femminismo ‘rosa’ – es. Se non ora quando – o, peggio, ‘grigio’ – alla Murgia –, c’è invece un femminismo che ha ragione d’esistere e del quale abbiamo realmente bisogno.

È quello che adotta una simbologia estrema, lacerante, come il movimento Strajk Kobiet, che sta combattendo in Polonia per la difesa del diritto all’aborto.

Non è questa la sede per discutere le potenziali contraddizioni dei movimenti di genere, che nel caso del movimento polacco potranno o non potranno venir fuori; qui, voglio soffermarmi soltanto sulla simbologia del ‘codice colore’, con considerazioni e parallerismi che potrebbero apparire dissacranti.

Un fulmine rosso su uno sfondo nero. Semplicemente potentissimo.
Il rosso e il nero sono sia i colori storicamente legati alle ideologie politiche più ardimentose, sia i colori archetipali della femminilità. Sono, inoltre, i colori agli estremi del processo alchemico, nigredo (il passo iniziale di decomposizione) e rubedo (la realizzazione della Grande Opera). Essendo due colori di grande peso, vanno impiegati strettamente quando c’è esigenza di creare attenzione (rosso) o dare profondità (nero). Storicamente, culturalmente e psicologicamente, il rosso e il nero sono tra i colori più densi di significato e intensità, al punto da rasentare il disturbante, ecco perché in comunicazione vanno usati con religiosa delicatezza.

Penso, in particolare, alle divinità terrifiche hindu – Kālī, Bhairavi, Chinnamastā –, al loro essere generatrici quanto distruttrici, manifestazioni della femminilità nella sua irriducibile ambiguità.

Ripenso alla felice scelta di Chiara Ferragni, vestita di nero alla consegna dell’Ambrogino d’oro a Milano, con un paio di tacchi a spillo rosso fuoco, per testimoniare contro la violenza sulle donne. E, attenzione, mai scelta è stata più controcorrente – quasi rivoluzionaria – nel mondo del femminismo, che ha sempre indicato i tacchi a spillo come simbolo della donna-oggetto.

 

 

Questa nuova narrazione attraverso la quale la Ferragni comincia a integrare la negatività censurata per anni sulla passarella social, apre una crepa dalla quale irrompe un sottile ma bruciante raggio di autenticità – lei, la barbie girl modaiola, non solo non nega mai il suo esser tale, ma è innanzitutto donna e mamma, e solo poi imprenditrice digitale.

Pur volendo far la parte del diavolo e ipotizzare che quel suo outfit per l’Ambrogino d’oro fosse una scelta di coordinato, di maniera, alla fine, certe potenze simboliche emergono con forza inaudita e trascinano con se qualcosa di profondamente vero. È quella che Trione chiamava «la profondeur della superficie».

Ecco perché non ci si può sbagliare: se vedo un fulmine rosso su uno sfondo nero, mi sale la Kundalini. Figuriamoci se vedo un paio di tacchi a spillo rossi su una gonna nera.

Peccato (o per fortuna?) che Chiara Ferragni sia bionda… una contraddizione del ‘codice colore’ che riapre la possibilità di farci domande, ancora e ancora.

 

Vincenzo Notaro
Direttore creativo
Officina Mirabilis

 

 

Ringrazio quanti hanno nutrito questa fulminea riflessione: Anastazja Buttitta che di recente mi ha scritto da «una Polonia in piena rivoluzione»; tutta la crew del webinar tenutosi stamattina al DISPS di Unisa, il prof. Alfonso Amendola che ha ospitato la prof.ssa Lucrezia Ercoli (autrice del volume “Chiara Ferragni. Filosofia di una influencer”, direttrice di Popsophia), Francesca Salemme, Michelle Grillo e Jessica Camargo Molano.

 

 

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