LA SOCIAL GLOBAL WAR: UN PROBLEMA DI COMUNICAZIONE
In riferimento al conflitto tra Russia e Ucraina, si sta parlando moltissimo della cosiddetta Social Global War, una forma di guerra mai prima verificatasi che, a detta dei media occidentali, l’Ucraina starebbe vincendo.
Si tratta di una caotica raffica di azioni di discredito rivolte contro la Russia, spesso puerili e insignificanti, ma che sommate alla miriade di user generated content, spinti dall’emulazione, hanno un peso enorme su un conflitto che ha tutta l’aria di poter riscrivere le nostre vite.
Per capire, però, cosa realmente sta accadendo sul versante della Social Global War, è necessaria una profonda analisi dei segnali comunicazionali e delle dinamiche social.
Una decina d’anni fa, parlando di Berlusconi, Žižek profetizzò l’avvento della dittatura dei clown.
Che la profezia sia valsa in Italia è un dato di fatto consolidatosi con i 5 Stelle.
Ma l’Italia, sebbene sia il ‘caso zero’, non è l’unico esempio. Negli ultimi anni, l’Occidente ‘civilizzato’ ha spesso espresso personaggi politici provenienti dallo show-business, con le caratteristiche singolari dell’attuale industria dello spettacolo fortemente contaminata dai social: personaggi molto vicini al popolo, apparentemente ‘normali’, rigorosamente non troppo istruiti – la schiera dei Di Maio… –, figure ironiche, talvolta attori e attrici, showgirl, comici, ecc. Insomma, pagliacci della porta accanto tanto simpatici (simpatetici) quanto pericolosi.
Come i popoli siano arrivati a desiderare tali inediti personaggi è un problema che ho esaminato più volte, e non è questa la sede per approfondirlo ancora.
Qui conta invece segnalare a cosa ci ha condotti questa parabola.
Gli inquietanti selfie di Zelens’kyj (ex comico), la palese pagliacciata propagandistica della bimba che imbraccia un fucile – mi dicono «calibro 12 a pompa» – che non potrebbe mai maneggiare poiché se sparasse le smonterebbe una spalla, sono distrazioni strumentali a una guerra tra NATO e Russia, entro la quale l’Ucraina – la popolazione ucraina – viene stritolata con la compiacente egoesaltazione di Zelens’kyj.
Dice bene Luciano Canfora in un’intervista su Il Riformista: «Io rivendico il diritto di dire che le potenze in lotta sono entrambe lontane dalla mia posizione e dalle mie scelte, perché le potenze in lotta fanno ciascuna il loro mestiere. E né gli uni né gli altri sono apprezzabili. Nascondere le responsabilità degli uni a favore degli altri è un gesto, per essere un po’ generosi, perlomeno anti-scientifico.
[…] Quando si usano le parole libertà e democrazia c’è odore di propaganda lontano un miglio. O parliamo seriamente o facciamo propaganda».
Inutile aggiungere che Putin per me è pericoloso — emblema di un drammatico “motus in fine velocior” —, che la Russia è storicamente torbida, ecc…
Sarebbero argomentazioni futili — o di natura estranea — rispetto alla manovra imperialista della NATO, o alle ragioni di quella che prima di Putin veniva considerata «la Nigeria con la neve»…
Stavolta c’è qualcosa di peggiore e inedito, peggiore della guerra in sé e della propaganda in sé. E c’entra moltissimo la comunicazione, specificamente la comunicazione social.
Mi riferisco al fatto che la propaganda sia stata, per la prima volta nella storia, lasciata alla mercé delle dinamiche social, avendone tutte le fattezze deficitarie: contenuti veloci, incessanti, omologati, prevedibili, con bassa elaborazione concettuale, zero competenze trasversali – per es., qualsiasi militare avrebbe evitato l’idiozia della bimba col fucile. Contenuti generati da ‘esperti’ d’algoritmi che fanno meramente e meccanicamente il loro lavoro: creare flame senza porsi domande.
Il risultato è ciò che in molti stanno chiamando Social Global War, un nome altisonante per glorificare il tifo da stadio applicato alla guerra: la cieca partigianeria che dilaga nel mezzo di un’enorme confusione mediatica, fatta di fake news ambo i lati e vere e proprie idiozie.
Si pensi all’episodio patetico del corso su Dostoevskji e alle tantissime azioni di cancel culture rivolte contro la Russia; si pensi a chi ciancia di ragioni ‘ideologiche’ in riferimento alla lotta per i diritti LGBTQ+ e la parità di genere, senza accorgersi che dietro movimenti come le Femen c’è (sempre) un’industria, con interessi economici estesissimi, con modalità di reclutamento sessiste e addestramenti da psicosetta – vale a dire che non è il sexetremism la soluzione alla Russia ‘reazionaria’ di Putin.
Viceversa, si pensi alle posizioni di Dugin che continua a fraintendere una guerra tra Potenze, basata su meri interessi economici, romanzandola con espedienti d’effetto come il Great Reset, ricorrendo alla retorica dei buoni contro i cattivi; oppure, si pensi alla delirante narrazione di un presidente ebreo – Zelens’kyj – a capo di una nazione (presunta) nazista, dove a dispetto delle sparute milizie di una curiosissima estrema destra – pro-NATO ed europeista (!?) –, c’è stato invece un reale golpe filoamericano.
Ecco cosa ha prodotto e sta producendo a dismisura la Social Global War: isterismo, caos, distrazione: terreno fertile per manovre opportunistiche di ogni sorta e senza alcuna trama preconfezionata, buona solo a vendere libri o articoli su teorie complottistiche.
Ed ecco il punto: continuiamo a inventarci categorie e nomignoli per fare notizia – marketing, in fondo –, ma la Social Global War di ‘global’ ha forse il raggio ma non la visione, ha l’aspetto social ma nulla di sociale.
E questa svista mi sembra definitiva e definitivamente fuori controllo.
Vincenzo Notaro
Direttore creativo
Officina Mirabilis