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RUBIO CENSURATO DA FACEBOOK E INSTAGRAM: «SHADOW BAN PER I MIEI POST SULLA PALESTINA»

RUBIO CENSURATO DA FACEBOOK E INSTAGRAM: «SHADOW BAN PER I MIEI POST SULLA PALESTINA»

Anche Chef Rubio abbandona Facebook e le piattaforme di proprietà di Mark Zuckerberg.

Lo apprendiamo da un post della star televisiva che recita così: «Da oggi abbandono Instagram, Facebook e Whatsapp. Ho deciso di cancellare i miei account da tutte le app social gestite da Mark Zuckerberg che – secondo una logica tutta sionista, assieme all’Anti-Defamation League (ADL) – controlla e censura la circolazione di contenuti e informazioni, violando il diritto alla libertà di espressione. Per mesi, senza alcun preavviso o notifica, Instagram ha sottoposto il mio account a una censura soft e subdola. Si chiama shadow ban, un silenziamento discrezionale che mette in una zona d’ombra chi pubblica contenuti ritenuti sensibili, che contravvengono i termini d’uso. Nel mio caso, lo shadow ban ha riguardato principalmente i post anti-sionisti e contro l’occupazione della Palestina».

Rubio non sarà il primo e non sarà l’ultimo a lasciare Facebook, ne ho parlato già quando fu Unicredit a farlo.

Certo, però, che Rubio Eroe Anti Sionista fa un po’ ridere e po’ è bellissimo.

Ma, tre sono le grandi questioni di questo sfogo dell’esuberante e simpatico personaggio:

 

1) La sfilza di problemi etici che serpeggiano da molti anni nelle piattaforme di Zuckerberg (e non solo), messi in luce da migliaia di pagine e profili: censure politiche o puritane, shadow ban, marketing scorretto, concorrenza sleale con il sistema aste, l’algoritmo del narcisismo patologico, indi daily me, selfite ossessivo-compulsiva, ecc.

2) Con l’esplosione televisiva e mediatica del mondo cosiddetto #food, Chef e personaggi affini, oramai, credono di esser legittimati a cianciare su tutto: sono filosofi, politologi, virologi, opinionisti, scienziati, medici, psicoterapeuti, ecceteristi.

3) La bizzarra ideologia per la quale la censura ai propri danni è inaccettabile, mentre la censura ai danni altrui è «un atto di libertà», come lo stesso Rubio e tanti altri hanno urlato esultando alla notizia della censura che colpì Casapound a settembre dello scorso anno.

 

Di censure, personalmente, ne ho subite tante, dai social e non solo. Diciamo che ho titolo di esprimermi…

Per es., anni fa partecipai a una mostra di arte digitale con 4 opere che erano détournement di fotografie pornografiche – il mio era un attacco alla società spettacolarizzata e mercificata, attraverso l’uso del suo stesso linguaggio.

Bene, fui censurato e ricevetti manifestazioni di solidarietà da tantissimi artisti e intellettuali, tra i quali cito soltanto Pino Bertelli, critico neosituazionista, che scrisse un saggio per me, che cominciava così: «L’arte è una puttana che non sorride, la censura è il suo vassallo, gli inquisitori vengono dopo…».

 

Venendo ai Social, mi è capitato proprio di recente di subire una sorta di shadowban che ha penalizzato i miei profili personali, azzerandomi letteralmente un’organica sudatissima che esprimeva una media dell’8% di engagement rate, quando la media per profili simili è dello 0,8% se va di lusso.

Il motivo? Con Officina Mirabilis abbiamo lanciato un nuovo progetto, IL SUDPLUS, e l’immagine pensata per il lancio è stata considerata «contenuto per adulti», al punto che ci è stato impedito da Facebook di sponsorizzare la notizia, oltre ad attirare prevedibili e noiose critiche di gente con evidenti problemi, probabilmente causa di un punteggio negativo sui miei post e di un allert scattato nei miei confronti su Facebook e LinkedIn. Un danno di immagine che, in fondo, prevedevo, indi guardo e passo, poiché comunque quando accadono queste disavventure, c’è sempre modo di evitare lo gne gne gne – alla Rubio – e capovolgere un problema in un’opportunità.

Nel caso specifico, puntiamo a scremare i cretini – etimologicamente parlando! – e a far posizionare gli interessati a un progetto molto serio e creativo qual è IL SUDPLUS.

 

L’immagine che ha scandalizzato è questa:

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Il nuovo progetto targato Officina Mirabilis lancerà proposte creative in ambito B2C — food & drink, eco-luxury, cultura pop, lifestyle, bellezza e benessere, sustanaible fashion, marketing turistico e glocal rebranding —, mettendo al centro il Sud, dell’Italia, del Mondo… Lanciato attraverso un visual prorompente — inno alla bellezza, trionfo della natura, icona ancestrale del desiderio e sagace invocazione di buona fortuna —, Il SUDPLUS sta già facendo molto discutere di sé, creando un un acceso dibattito! Per saperne di più su come funzionerà, tieni d’occhio il blog dedicato al progetto: https://ilsudplus.blogspot.com/

 

Ma, ora, voglio spendere il finale di questo articolo sull’ultimo dei 3 punti sopra riportati, ossia sulla patologia che affligge chi come Rubio esulta per la censura ai danni altrui e poi si lagna di quanto, identicamente, accade a lui.

Una nemesi per la legge del contrappasso? No, non ci scherzerei troppo, il mio punto è fermissimo: ritengo inaccettabile che Facebook censuri, lui e altri, su base di un chiaro posizionamento politico-economico e di un potentato sovranazionale evidente e assai discutibile.

Ma, per l’appunto, ricordo perfettamente l’esultanza di Rubio per la censura subita da Casapound su un’accusa di «istigazione all’odio razziale» – finita con un ricorso e la riapertura della pagina ufficiale di Casapound –, e ora si è trovato lui stesso a commettere un “peccato” simile.

D’altra parte anche l’anti-sionismo è riconducibile a una forma di odio razziale. Quanto meno, in una buona fetta dell’immaginario collettivo, anti-sionismo=nazismo=razzismo. Che dire… bel colpo, oh Rubio delle libertà!

 

Ora, premettendo che sono di sinistra – molto a sinistra della sinistra –, e non simpatizzo per niente con l’occupazione palestinese, trovo certe accuse di odio razziale abbastanza controverse.

In effetti, è una accusa che tutti possono rivolgere a tutti. Prendendo il caso estremo, perfino gli ultra-nazionalisti, spesso considerati razzisti, possono denunciare i loro avversari politici di un razzismo al contrario – banalizzato nel «prima gli italiani» di Salvini, che personalmente non considero ideologicamente di destra… lui va più per l’insalata mista, insomma.

 

Ecco perché credo che il discorso sia paludante e la censura ne è specchio, senza dubbio alcuno.

Bisognerebbe liberarsi da certe tare, evitando di fare martiri della libertà di espressione, dacché il vero dibattito oggi sarebbe molto più complesso dell’urlarsi contro vicendevoli accuse di razzismo o anti-costituzionalità o, più terra terra ancora, di libertà di parola.

In definitiva, trovo che i partiti veramente discutibili siano tutti quelli succedutisi al Governo nell’ultimo decennio, dal PDL al PD senza L, fino a finire alla confusione anti-ideologica montata da Lega e M5S.

Anzi, forse con qualche membro di Casapound si può perfino incontrarsi su alcuni punti – su altri, è ovvio che vi sia una irriducibile differenza –, ma sicuramente uno di sinistra come me, non può parlare con Renzi o Di Maio.

Mi rifiuterei, evolianamente su base di un razzismo spirituale, o deluchianamente su un criterio di aristocrazia estetica.

 

Scherzi a parte… al netto del problema ideologico, qui bisogna chiedersi se il deplatforming sia una decisione che Facebook può prendere in maniera libera e legittima o meno.

Antonello Soro, Garante Privacy, per giunta uomo del PD, in occasione della censura a Casapound si espresse limpidamente: «Ogni limitazione nell’uso dei social network comprime inevitabilmente la libertà di espressione, con riflessi ulteriori quando oggetto di ‘censura’ siano idee politiche; incidendo dunque su libertà che costituiscono la pietra angolare della democrazia. […] È indispensabile che la composizione, in ultima istanza, di diritti fondamentali quali dignità e libertà di espressione sia sempre affidata all’autorità pubblica, impedendo tanto derive in senso lato ‘censorie’, quanto il rischio che la rete, da spazio di promozione dei diritti di tutti, divenga il terreno su cui impunemente violarli».

 

Ecco perché bisogna chiedersi fin dove i giganti di Menlo Park possono spingersi a fare le aziende, facendo prevalere chiari interessi economici, e fin dove, invece, data la mole, siano soggetti a garantire le libertà che le leggi statali e inter-statali prevedono per i cittadini.

In fondo, con miliardi di utenti attivi, i Social sono ormai una second life molto più densa e meno virtuale della vita politica (inesistente) di cittadini come Rubio e tanti altri…

 

Vincenzo Notaro
Direttore creativo
Officina Mirabilis
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